Mancate corrispondenze

Mancate corrispondenze

A livello locale.

Se andiamo ad osservare le denominazioni locali è già possibile scorgere alcuni fattori molto interessanti.

Già all’interno del lessico locale di Sciacca è possibile mettere in evidenza due termini che portano ad una difficile collocazione. I termini sono razzolu e razzuleddu, e l’uno non è il diminutivo dell’altro bensì con questi due termini si indicano due tagli diversi: razzolu indica il taglio di carne del muscolo anteriore (fig. 3 lato interno 20; lato esterno 26), mentre razzuleddu indica il taglio di carne che sta sulla spalla (fig. 3 lato esterno 20).

 

A livello regionale.

Per quanto riguarda il lessico usato dai macellai di Sciacca il dialetto di riferimento o di paragone è certamente il dialetto palermitano. Ad esso spesso gli informatori hanno fatto riferimento per uguagliare o per distinguere il proprio lessico

Così gli informatori hanno sottolineato la differenza del termine saccense ròsola dal termine palermitano rasulìcchia.

Interessante per quanto riguarda la mancata corrispondenza tra il nome e la cosa con il lessico palermitano è il termine quarumi.

Esso mentre a Palermo sta ad indicare tutte le parti interiori dell’animale: rumine, omaso, abomaso e intestini, a Sciacca per quarumi si intende il solo apparato dell’intestino tenue.

Mentre i dialetti dei paesi limitrofi sono stati solo nominati a distinzione dal proprio lessico. Così è emersa la distinzione netta tra il saccense falaruni e il riberese sciardali per indicare il grembiule usato durante la macellazione oppure fra il saccense cutiddazzu e il riberese fasuni per indicare la mannaia.

 

A livello nazionale

Per osservare il quadro nazionale si è fatto uso dei tabulati riportati qui di seguito e presi dal volume di Mantovani, G. (1972), Ispezione degli alimenti di origine animale, Unione tipografica-editrice torinese, Torino.

Da questi tabulati ho considerato solo i capoluoghi di provincia di alcune regioni prese ad esempio per i vari dialetti d’Italia: due meridionali, Reggio Calabria e Bari; due centrali, Roma e Firenze; due settentrionali, Milano e Torino.

Dall’osservazione delle figure risulta facile capire che da una stessa parte dell’animale si arrivi ad una diversa conformazione del taglio. Per cui sembrerebbe ovvio che ad ogni nome corrisponde un taglio diverso da regione a regione. In altre parole se dal quarto posteriore a Reggio Calabria si derivano dieci tagli e a Torino quattordici tagli, ciascun taglio avrà ovviamente un nome diverso ma nello stesso tempo avrà anche una forma diversa.

Ciò dimostra che la tabella di comparazione poc’anzi esposta non solo non è del tutto attendibile, ma produce – così come vedremo – anche ulteriore confusione al panorama linguistico.

Unico caso in cui, in tutte le regioni e città d’Italia, allo stesso “nome” corrisponde la stessa “cosa” è il termine “filetto”.

Osservando le figure, se nella città di Reggio Calabria alcuni termini che riguardano i tagli di carne sono uguali a quelli del dialetto siciliano come scannatura (fig. 4 lato est. 15), pettu o bollito (fig. 4 lato est. 11), cudata (fig. 4 lato est. 18), e lacertu (fig. 4 lato est. 24) (mostrano, insomma,corrispondenza di termine e di taglio), ci sono casi in cui questa corrispondenza non esiste. E tanto più ci si allontana dalla propria regione tanto più muta il senso delle stesse parole.

Possiamo notare come, per esempio, già a Reggio Calabria con il termine spasciatura (fig. 4 lato est. 3) (termine tanto simile al saccense sfasciatura) si indichi una parte della spalla esattamente corrispondente al saccense spadda (fig. 3 lato est. 17); mentre a Sciacca con sfasciatura si indica una parte della coscia che comprende i muscoli della coscia interna (fig. 3 lato int. 3).

Molto interessanti appaiono poi tre termini in uso nella città di Bari che sono “fesa”, “noce” e “lombo”.

Con il termine “fesa” si intende a Bari i muscoli della coscia esterna e parte posteriore della gamba (fig. 5 lato est. 4) (in dialetto saccense contra). Mentre a Sciacca con il termine “fesa” si intendono i muscoli della coscia interna detta sfasciatura (fig. 3 lato int. 3).

Sempre a Bari con il termine “noce” si indicano i muscoli della coscia interna (fig. 5 lato int. 2) (saccense sfasciatura). Invece a Sciacca la “noce” indica i muscoli aventi come base d’appoggio femore e rotula (fig. 3 lato int. 4) (saccense pennu).

E, infine, il “lombo” di Bari indica i muscoli gluteo superficiali medio e profondo più il tensore della fascia laterale più il lungo vasto parte superiore (fig. 5 lato est. 6) (saccense curata). Ma a Sciacca (così come a Roma) per “lombo” si intende la parte formata dai muscoli che vanno dalla decima vertebra dorsale alla sesta vertebra lombare e viene detta trinca (fig. 3 lato int. 8; lato est. 10).

Nelle città di Roma e di Firenze non vi sono termini che presentano una mancata corrispondenza e possiamo solo registrare due termini non in uso a Sciacca ma che sono riconosciuti come termini “italiani”: campanello e girello. Per questi due tagli vi è corrispondenza di taglio tra Sciacca, Firenze e Roma, ma la denominazione è diversa. Perciò il termine “campanello” indica, a Firenze, a Roma e a Sciacca, il muscolo delimitato dai muscoli della coscia esterna e dal geretto ed è detto dai macellai saccensi pàpara (fig. 3 lato est. 3; fig. 6 lato est. 2; fig. 7 lato est. 3). Allo stesso modo “girello” indica in queste tre città il muscolo semitendinoso proveniente dai muscoli della coscia esterna e dai macellai saccensi è detto lacetto (fig. 3 lato est. 6; fig. 6 lato est. 5; fig.7 lato est. 6).

Per quanto già detto particolare interesse linguistico rivestono i termini usati in Lombardia e in Piemonte in quanto sono naturalmente considerati dai macellai saccensi come termini propriamente italiani o meglio appresi come termini italiani.

Da Torino, come già osservato, si è diffuso il termine cappello del prete, ma con esso non si intende a Sciacca lo stesso taglio di carne. Con “Cappello del prete”, infatti, a Torino si indica solo la piccola parte finale del muscolo retro-spinoso situato nella fossa retrospinosa della scapola (fig. 8 lato est. 20). Mentre a Sciacca per cappello del prete si intende tutto l’intero muscolo retrospinoso (fig. 3 lato est. 18) (che a Sciacca è detto, o meglio veniva detto, sottile di spalla).

Nella città di Milano per “osso buco” si intende la parte interna della coscia (fig. 9 lato int. 4) (a Sciacca sfasciatura), mentre un macellaio saccense per osso buco intenderebbe il geretto posteriore (fig. 3 lato est. 2) (musculu posteriori) da cui ricavare il piatto gastronomico detto “osso buco”.

Il “roast beef”, sempre a Milano, comprende – come nella cosiddetta “bistecca fiorentina” – sia i muscoli che vanno dalla decima vertebra dorsale alla sesta vertebra lombare (a Sciacca trinca) sia il filetto (fig. 9 lato int. 7-8; lato est. 7-8). A Sciacca però per “roast beef” (nella pronunzia rrosbi) si intende soltanto la trinca (fig. 3 lato est. 10).

Ancora qualche osservazione meritano i termini lombardi che sono riportati nei manuali delle tabelle merceologiche nazionali: “reale”, “fetta di mezzo” e “scamone”.

Con il termine “reale” nei manuali si intende il muscolo gran dorsale (fig. 3 lato int. 10) (a Sciacca detta costata). A Milano, dove il termine è in uso, con “reale” si intendono i muscoli che vanno dalla settima alla prima vertebra cervicale (fig. 9 lato int. 14) (a Sciacca detta sapura).

Con “fetta di mezzo” nei manuali si intendono i muscoli della coscia esterna (fig. 3 lato est. 5) (a Sciacca contra). Ma con “fetta di mezzo” a Milano si intende una parte del muscolo gluteo superficiale medio e profondo (fig. 9 lato est. 3) (a Sciacca curata).

E infine con “scamone” il manuale intende il muscolo gluteo superficiale medio e profondo (fig. 3 lato est. 6) (a Sciacca curata) mentre a Milano si intende la parte trasversale dei muscoli che vanno dalla decima vertebra dorsale alle sesta vertebra lombare (fig. 9 lato est. 7) (a Sciacca detta trinca).

Tutto questo per limitarci ai soli capoluoghi di provincia più significativi. Sono certo, infatti, che i casi di mancata corrispondenza tra “nomi” e “cose” nell’ambito della carne si amplierebbero se la ricerca coinvolgesse altre località della nostra stessa regione.

Ricercare ed esaminare le cause di una così ampia discordanza tra i tagli della carne e le rispettive denominazioni anche sul piano della lingua nazionale è certo un obiettivo interessante, che tuttavia esula dall’economia di questa ricerca.